Dopo numerose esperienze come autore e regista, Mauro Simone torna sul palcoscenico con il musical “Singin’ in the Rain”, nel ruolo che fu del compianto Manuel Frattini
Per Mauro Simone fare parte del cast di Singin’ in the Rain (Cantando sotto la pioggia), il musical diretto da Chiara Noschese, è un ritorno alle origini, dopo tante esperienze come autore e regista (da Tre metri sopra il cielo nel lontano 2007, a Replay, Outing, fino alle regie di titoli importanti come Into the Woods, The Last Five Years, Avenue Q, per la BSMT di Bologna).
Nella sua carriera di performer ha interpretato ruoli importanti (da Lucignolo, in Pinocchio – Il grande musical, al divertentissimo Igor di Frankenstein Junior, fino a Cliff Bradshaw, in Cabaret, tutti diretti da Saverio Marconi), ma Singin’ in the Rain è lo spettacolo che lo ha fatto innamorare di questo mestiere e il ruolo di Cosmo Brown, oltre a essere molto impegnativo, rappresenta una eredità importante, idealmente ricevuta da Manuel Frattini – il celebre performer italiano recentemente scomparso – che lo aveva interpretato negli anni Novanta e al quale è dedicata questa edizione del musical.
Cosa hai provato quando hai saputo che avresti fatto parte del cast di questo spettacolo?Ovviamente, io ho sostenuto un provino come tutti quanti, nel senso che sono stato invitato a fare l’audizione per il ruolo di Cosmo Brown e me la sono giocata insieme ad altre persone. Dunque, ero felicissimo quando ho saputo che sarei tornato in scena con questo ruolo: Singin’ in the Rain è uno spettacolo che io amo molto, perché è stato il primo musical che ho visto quando avevo 16 anni, grazie al quale ho detto ‘mi piacerebbe fare questo mestiere’.
Sono felice di tornare in scena tutte le sere nei panni di Cosmo e divertirmi con questo cast meraviglioso.
Qual è stato il taglio che, insieme alla regista Chiara Noschese, hai voluto dare a questo personaggio?
Con Chiara Noschese c’è stata grande condivisione e collaborazione. Quando faccio l’attore, sono abituato ad affidarmi a chi mi dirige, cercando di dare il meglio. Chiara è una regista molto precisa, che accompagna i suoi attori: la sua indicazione principale è stata ‘Cosmo vuole bene al suo amico Don Lockwood e tutto ciò che fa, lo fa in nome dell’amicizia’. Il divertimento è la chiave di questo personaggio, che si ritrova a “inventare” alcune situazioni che in realtà cambiano la storia del cinema, tra cui il doppiaggio dei film.
Tornando sul palcoscenico come performer, hai provato nostalgia per il tuo percorso di regista e docente oppure recitare ti ha fornito ulteriori nuovi stimoli?
Non provo nostalgia, anche perché io sono felicissimo del percorso che sto seguendo. L’insegnamento per me non è un modo per fuggire dai periodi di “vacche magre”, ma è una scelta. Adesso sto semplicemente trovando la conferma di ciò che insegno ai giovani performer: questo è un mestiere difficile e di grande responsabilità.
Qual è il messaggio che questo spettacolo, nato come film nel 1952, può trasmettere al pubblico giovane?
Io penso che per vivere meglio il futuro bisogna imparare a guardare il passato. Noi diamo per scontate le tecnologie di cui disponiamo oggi, per cui diventa necessario ricordare ai giovani che se il doppiaggio esiste è perché qualcuno – che merita il nostro rispetto - ha studiato e lavorato, in passato, per perfezionare le tecniche cinematografiche.
Cosa può fare il teatro per avvicinarsi ai giovani?
Io credo che il teatro possa addomesticare la gente alla condivisione, perché tale principio può davvero cambiare il futuro dei giovani e, in generale, di tutti noi. La condivisione genera unione e consente di non avere paura: se nel futuro ci fosse meno paura, ci sarebbero meno divisioni nella società.
Concluse le repliche di Singin’in the Rain, sarai nuovamente impegnato in una regia per il Summer Musical Festival, a Bologna: si tratta del musical Jekyll & Hyde. Cosa puoi anticipare del progetto?
Sicuramente cercherò di lavorare per rispettare l’epoca, ma con uno sguardo moderno: questa è la chiave di lettura per la mia prossima regia.